
Quando, a inizio del mese, ho scoperto gli Inner Development Goals (IDG) ho sentito subito una connessione profonda e autentica. Il framework proposto, infatti, racchiude in modo sorprendentemente coerente ciò che rappresenta il cuore del mio lavoro e della mia crescita professionale: lo sviluppo organizzativo con approccio sistemico, la centralità della persona, la leadership consapevole, la co-progettazione, ma anche il valore della collaborazione e della condivisione, del pensiero critico e della capacità di dare senso (sensemaking) a ciò che viviamo — individualmente e collettivamente — in un’ottica sostenibile di lungo periodo.
È stato come vedere riflessa, in una nuova cornice globale, l’esperienza che porto avanti sul campo da oltre 15 anni — da quando, nel 2010, ho iniziato ad applicare nella pratica i principi della trasformazione organizzativa e digitale, costruendo in contemporanea la mia esperienza con approcci di presenza e centratura (breath-work, reiki, tao e qigong per fare alcuni esempi a me cari) e poi proseguire con aggiornamenti più recenti come il coaching sistemico nel 2020 e in leadership coaching nel 2024.
Uno degli elementi che mi ha colpito di più è la naturale integrazione con strumenti che fanno parte da tempo del mio modo di lavorare. Penso, ad esempio, alla Teoria U, un ponte ideale tra il mio background accademico in sociologia e psicologia delle organizzazioni, praticante mindfulness e la mia esperienza come facilitatrice. La Teoria U è, per me, la rappresentazione concreta di un approccio trasformativo che unisce profondità, presenza e co-creazione.
Il progetto IDG, sostenuto ufficialmente dall’iniziativa dell’ONU “Education for Sustainable Development”, si fonda su un’idea che condivido pienamente: non può esserci cambiamento duraturo senza una crescita interiore, né un cambiamento efficace senza uno sguardo sistemico e collaborativo. Servono consapevolezza, intenzionalità e trasformazione individuale, ma anche una rinnovata responsabilità collettiva verso il futuro.
Il Summit IDG 2024, tenutosi quest’anno a Stoccolma, ha esplorato proprio questo “spazio tra” — quello in cui le competenze interiori si trasformano in azioni collettive e sistemiche. Anche se ho potuto partecipare solo virtualmente ad alcune sessioni, mi sono portata a casa riflessioni profonde.
Nel cammino di crescita personale e organizzativa, può capitare di cadere nel paradosso di giudicare chi sembra “meno evoluto”. Questo meccanismo crea gerarchie invisibili che vanno in contrasto con i valori di inclusività e apprendimento reciproco. È solo attraverso empatia, consapevolezza e compassione che possiamo davvero creare connessioni significative, anche nei contesti organizzativi. Accogliere la nostra stessa vulnerabilità ci rende più umani, e più efficaci come leader.
Allo stesso modo, in un mondo segnato da transizioni rapide e instabilità, la resilienza si rivela come una competenza trasformativa. Non è una dote innata, ma un’abilità che possiamo coltivare attraverso consapevolezza, intelligenza emotiva e pratiche di presenza. La neuroplasticità del nostro cervello ci permette di allenare risposte più lucide e compassionevoli, anche nei momenti più complessi.
Questi due punti — riconoscere l’altro senza giudizio e rafforzare la resilienza come competenza trasformativa — costituiscono, insieme, un setting ideale per costruire ambienti di lavoro realmente collaborativi, sia in presenza che in contesti digitali. Ed è proprio in questa cornice che possiamo anche ripensare lo sviluppo e l’uso della tecnologia: non come uno strumento immobile e fisso, ma come un attore (i sociologici della tecnica parlerebbero di attante/i) in azione del nostro sviluppo umano e organizzativo.
La mia esperienza mi ha insegnato che il giusto equilibrio tra relazioni collaborative autentiche, supporto tecnologico consapevole e revisione organizzativa sistemica in ottica sostenibile è la chiave per far evolvere il lavoro. In questo spazio dinamico e ben progettato, le persone riescono a collaborare meglio con la tecnologia — non contro di essa — e l’innovazione diventa realmente al servizio della vita, del benessere e del progresso condiviso.
Gli Inner Development Goals non credo siano solo un trend del momento. Sono un linguaggio condiviso che collega esigenze e dimensioni finora separate: l’interiorità e l’azione, la persona e il sistema, il lavoro e la vita. Per me, rappresentano una conferma ulteriore del cammino valoriale e teorico-pratico che ho scelto di intraprendere, quindi dei servizi che offro ogni giorno a leader, team e organizzazioni che vogliono evolvere con consapevolezza, responsabilità e spirito di collaborazione. Solo così possiamo garantire un presente e un futuro responsabile e sostenibile.
Concludo con questa breve ma potente domanda: Abbiamo bisogno di strumenti che aiutino a dare senso al presente e a progettare il futuro, e se il cambiamento partisse davvero da dentro, e con la prospettiva rivolta verso il NOI ?
Di seguito del materiale rappresentativo del framework IDV e il link alla pagina ufficiale Inner Development Goals
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